Stanotte, mentre lavoravo fino alle 4, perché ero insonne, non perché ne fossi costretta, almeno ieri sera, ripensavo a una discussione uscita su una bacheca di Fb alcune ore prima.
Una discussione che ho letto, con l’amaro in bocca, ma alla quale non ho partecipato.
Sugli editori che non pagano per partito preso, con piglio truffaldino da anni, non per improvvisa crisi. Sui lavoratori che non riscuotono, nonostante tutti gli sforzi possibili.
E mi sono sentita male, una volta non per la vittima del mancato pagamento (quella avrà sempre la mia solidarietà), ma al pensiero che i consigli, le esortazioni a riflettere, senza colpevolizzare, a pretendere di più per le prossime occasioni, una volta scoperta quale tariffa di traduzione, in quel singolo caso, era stata accettata, siano stati presi per l’ennesima volta come l’attacco di una “casta” di lavoratori con tariffe milionarie (mille euro al mese sono cifre milionarie, quale visione distorta!). Lavoratori astiosi contro i poveri “virgulti” che altre cifre non possono pretendere.
E sono venuti fuori discorsi su precarietà, precariato, lotta per arrivare alla fine del mese, tradurre, lavorare in editoria per bisogno.
Non è la prima volta che accade. Chi mi conosce sa che davanti a questi discorsi di solito tendo a comprendere le scelte di chi si lascia irretire dal dorato mondo della cultura, che accetta l’inaccettabile, perché il meccanismo è perverso e io lo conosco bene. Ma qui si sta parlando di cifre inaccettabili, non di cifre limite. Le cifre limite pongono sempre il lavoratore esterno davanti al bivio se accettare o meno, per tamponare, e magari pagare la rata del mutuo quel mese, in attesa che smuova qualcosa di più degno. E lì preferisco non fare mai i conti in tasca alle persone. Quelle da fame, no, sono più facili da rifiutare. Perché ti dicono già tutto.
E devono essere rifiutate, per una semplice ragione che se non riguarda la categoria intera, riguarda il singolo lavoratore: se accetti 3-4-5 euro a cartella lordi per quell’editore che tutti sanno proporre quelle cifre, senza mai pagarle davvero, darai l’idea che il tuo lavoro vale quella cifra, e sarà difficile uscirne.
Per fortuna l’attacco alla “casta” era venuto più da “paladini dal giudizio facile” ma senza reali conoscenze del settore, che dalla lavoratrice vittima.
Quindi spero, ci conto, anzi sono sicura, che lei, loro, chiunque leggerà questi consigli, saprà farne tesoro.