Domani, a Roma, io, S., e chi la Russia la conosce. Eccome.

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Domani sarò a Roma.
Per questo evento alla Biblioteca Europea.

Devo ammetterlo, sono piuttosto emozionata, anche se non è la prima volta che parlo in pubblico di questo libro.

S.
In questo blog anni fa vi nominavo S., dicevo che lo stavo traducendo senza spiegare chi fosse.
Ora Nel primo cerchio di Aleksandr Solženicyn è uscito e in molti lo stanno apprezzando.
Sento la forte responsabilità di essere, nel bene o nel male, la voce italiana di questo libro nella sua versione integrale. Almeno finché qualcuno non saprà fare di meglio.

Ma soprattutto, sento di aver fatto insieme a Daniela Di Sora, Anna Zafesova e la Voland tutta qualcosa che sta ridando dignità a una grande opera.

Perché questo libro sta piacendo a menti di ogni tipo, che hanno saputo leggerci messaggi universali. Non una semplice accusa alle aberrazioni del comunismo ma ai sistemi totalitari tutti, ai meccanismi della propaganda.
Un’analisi dell’uomo e delle sue paure, del modo in cui certi sistemi cercano di sfruttarle e del coraggio di pochi per la salvezza dell’umanità di tutti.
Il tutto condito da grande letteratura.

Sarò in ottima compagnia alla Biblioteca Europea domani, se siete a Roma e avete voglia di parlarne…

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Classifiche libri 2018: i russi che mancano ve li segnalo io.

Siccome sto vedendo fioccare classifiche, gallerie fotografiche, consigli in vista del Natale e della fine di questo 2018 (le strenne più strennose, 50 libri da mettere sotto l’albero, 100 libri che renderanno il vostro Natale indimenticabile, 200 libri che hanno reso il 2018 il meglio del meglio nonostante lo sfacelo culturale di questo paese…) e i russi si avvistano con il binocolo in rare rarissime occasioni, ho deciso di farvi io una bella carrellata di titoli per tutti i gusti usciti nel 2018 e degni di nota (due, perdonatemi, sono miei… ma li ho amati tanto, quindi non potevo non metterli.)

Solo contemporanei e del secolo scorso, massimo. Così la smettete di dire che non si pubblica niente di contemporaneo e di regalare solo libri sulla Russia scritti da tutti tranne che dai russi (senza nulla togliere a chi quei libri li fa bene, alle volte strabene).

Le posizioni sono causali.

  1. Le donne di Lazar, Marina Stepnova, tr. di Corrado Piazzetta, Voland.
  2. Manaraga, Vladimir Sorokin, tr. di Denise Silvestri, Bompiani.
  3. E dal cielo caddero tre mele, Narine Abarjan, tr. di Claudia Zonghetti, Francesco Brioschi Editore.
  4. Inseparabili. Due gemelli nel Caucaso, Anatolyj Pristavkin, tr. di Patrizia Deotto, Guerini editore (cui ricordo che per legge il nome del traduttore va messo in copertina o in frontespizio, non controfrontespizio… alla prossima ricordatevi!)
  5. Nel primo cerchio, Aleksandr Solženicyn, tr. di Denise Silvestri, Voland.
  6. Il confine dell’oblio, Sergej Lebedev, tr. di Rosa Mauro, Keller.
  7. La ribelle, Jaroslavskaja-Markon Evgenija, tr. di Silvia Sichel, Guanda.

Per ora questi, ma ne avrò sicuramente dimenticato qualcuno, perciò segnalatemeli anche voi, così li aggiungo! Ricordate: pubblicati nel 2018, massimo indietro fino al ‘900.

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I manoscritti che bruciano. Il nuovo libro di Vladimir Sorokin.

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Addio, Bane of the Dreadfort

Ho sempre avuto una visione chiara su come avrebbe dovuto essere il lavoro editoriale per rappresentare davvero un ambiente di cultura sano e ricco di stimoli.
Per un po’ la mia è stata solo una visione. Poi ho avuto la fortuna di lavorare con Sergio Altieri e le altre colleghe del “team Martin” e quella visione si è fatta carne.

Sergio, in realtà, nel mio passato di redattrice precaria, mi era già passato davanti centinaia, migliaia di volte. Qualche “ciao” nei corridoi, ma niente di più, perché quell’omone dall’aspetto burbero, che intervallava parole italiane a espressioni gergali americane, era il direttore di una redazione con la quale non c’era mai stata l’occasione di collaborare.

Poi l’esperienza di redattrice che finiva, quella di traduttrice che cominciava.
E cominciava anche l’esperienza delle traduzioni della serie Wild Cards di G.R.R. Martin, un ciclo fantascientifico di romanzi, che abbiamo tradotto in quattro, Sergio Altieri, Alba Mantovani, Giusi Valent e io, con la revisione di Grazia Bosetti; un team di traduttori che si è dedicato poi anche alla traduzione di questo libro: https://it.wikipedia.org/wiki/Il_mondo_del_ghiaccio_e_del_fuoco.
Tutto all’interno del ciclo andava coordinato, tutto doveva essere coerente, nessuno poteva fare di testa propria. Glossari infiniti, nomi di personaggi fantasiosi ed evocativi da decidere insieme, trame da condividere per non incappare in granchi traduttori.
E lì ho conosciuto davvero Sergio.

Un paio d’anni di mail lunghissime cariche di intelligenza, cuore, rispetto del lavoro altrui; riunioni leggere come piume, dopo le quali tornavo a casa con la sensazione di essere una traduttrice migliore, e una persona migliore; telefonate fiume piene di calore, parole di incoraggiamento, risate. Poi quell’ultima pizzata, in cui c’eravamo detti di non lasciar passare troppo tempo, anche se di lavoro in team per noi sembrava non essercene più.

Ora sono qui, a scorrere fra le lacrime ogni mail di quei momenti. A ricordare le parole di una telefonata che ha segnato per me una svolta interiore.
Lady Denise, sto leggendo le tue pagine proprio ora, non ho resistito, dovevo chiamarti. My Lady, tu sei una fuoriclasse.”
“Oddio, Sergio, davvero? Son venute bene? Perché io sono sempre piena di dubbi. Sapessi quante volte mi han trattato a pesci in faccia in questo lavoro.”
“Ah, sì, my Lady, e tu mandali a ‘fanculo.”

Lui era così, abituato a motivare i colleghi e i collaboratori, non a demolirli.
Ci penso e ci ripenso, ogni volta che boccheggio, e da ieri ripercorro quegli istanti nella mente con maggiore gratitudine e felice di avergli detto in tempo che cosa le sue parole avevano significato per me in quella e in altre occasioni.
Addio, Bane of the Dreadfort.
L’unico vero fuoriclasse qui eri tu.
Non ti dimenticherò mai, man.
Mai.

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Ognuno fa il suo mestiere, ma qualcuno lo fa meglio di altri

Finalmente questa odissea è finita.

Il mio Mac portatile è tornato a casa di nuovo funzionante. Un sollievo, finalmente. Ci sono voluti quasi due mesi.
Il Mac necessitava di un cambio di tastiera. Era ormai di poco fuori garanzia. Vado in un negozio di riparazioni e rivendita di accessori informatici usati e ricondizionati a Cologno Monzese, un paese vicino al mio. Lì mi sono sempre trovata bene, ma evidentemente erano cose di poco conto.

Mi dicono, sta tirando le cuoia, la vuoi cambiare? Sì. Allora ti faccio arrivare la tastiera di ricambio? Sì. Me la cambiate voi però perché io non sono in grado! E ci mancherebbe, è il nostro lavoro! Do un anticipo di 50 euro. Un lavoro di una giornata. Passano un paio di giorni, nessuno si fa sentire. Dopo una settimana chiamo io. Risposta: abbiamo aperto il mac e la tastiera originale è saldata al corpo del computer. Chiedo, ma è un difetto solo del mio? No, a quanto pare la nuova generazione di mac portatili ha la tastiera saldata. Loro non lo sapevano. Lasciacelo ancora qualche giorno che scopriamo come si fa. E già lì dovevo scappare a gambe levate, ma si erano sempre comportati bene, gli ho dato fiducia.

In totale, dopo telefonate, attese, proroghe, promesse di trovare un tecnico competente che abbia una fantomatica macchina supersonica da sei milioni di euro per risolvere la cosa, vado con mio figlio di 5 anni direttamente in negozio. Sono passate 4 settimane.
Entro, il titolare è al telefono. Non risponde al saluto. Arriva uno dei tecnici, piazza sul banco il mio mac e la scatola della tastiera mai montata. Il titolare mette giù e dice: non ce l’abbiamo fatta e non ho trovato nessuno che lo sappia fare. Tieni. E io: e i 50 euro di anticipo me li ridate? No, ti tieni la tastiera. Al mio “Ma stai scherzando?”, in tono calmo, da cui partire per una discussione in cui fargli capire le mie ragioni, il titolare comincia a inveirmi contro con frasi tipo: Sei una maleducata, io ti sbatto fuori a calci nel c*** e la tastiera te la ficco in c***. Gli manca pure la fantasia per gli insulti, visto che quella parola viene ripetuta più e più volte insieme ad altri epiteti poco gentili davanti a mio figlio in età prescolare.

Discuto un po’ dandogli del cafone incompetente, facendogli notare da figlia di artigiani che se mio padre dicesse a una cliente che per cambiare il tubo di scarico di un bagno ci vuole un modello particolare, che faccio signora, glielo ordino, e poi aprisse il muro e si accorgesse che quel tipo di tubo non ci passa, non direbbe alla signora, ora mi paga il tubo e se lo tiene, le ridarebbe i soldi e lui rimanderebbe il tubo dal fornitore o se lo terrebbe. Mi ridà i soldi sbraitando insulti irripetibili sempre davanti a mio figlio e dicendo che lo fa perché è un signore. Usciamo, Mathy mi dice: Quel “signore” deve stare attento perché se si comporta sempre così il prossimo Natale Babbo Natale non gli porta niente.
Torno a casa, accendo il Mac. La tastiera ora è completamente morta e gira la ventola, cosa mai successa prima. E non dopo ore di uso, dopo un minuto dall’accensione. Impossibile lavorarci con una tastiera esterna ora, perché lentissimo.

Trovo su internet un altro tecnico nel giro di mezz’ora, in un paese non vicinissimo al mio ma abbordabile. Incrocio le dita. Ci sentiamo direttamente il giorno dopo, mi dice che se gira la ventola è perché probabilmente hanno rovinato la scheda madre toccando con strumenti non adatti nel tentativo di cambiare la tastiera. E tutti i Mac portatili di nuova generazione hanno la tastiera saldata. Dal 2009 circa. Un tecnico competente lo sa. Poi il danno si rivelerà una sciocchezza: gli incompetenti avevano spanato e perso quasi tutte le viti di chiusura e il Mac ancora mezzo aperto andava in crisi. Il nuovo tecnico sarà costretto a farsi arrivare oltre ai pezzi principali necessari (tastiera, diversa da quella che mi avevano ordinato loro, scocca esterna e trackpad), anche delle viti nuove, che mi abbonerà.

Morale: la miglior difesa è l’attacco. Secondo loro… Sapevano di aver fatto un guaio e la cosa migliore era trovare il modo di non farmi più rimettere piede in quel negozio.

In 40 anni di attività mio padre non ha mai mai mai usato una parolaccia davanti a un cliente, tantomeno se donna e con bambino in età prescolare. Non ha mai alzato la voce, perché per lui il cliente ha sempre ragione, anche se per caso avesse torto.

Auguro a questi incompetenti che la loro attività vada a gambe all’aria il prima possibile.
Ah, dimenticavo la chicca: sul muro del negozio è pieno di frasi di stampo cristiano. Da cristiana questa cosa mi irrita ancora di più.

Auguro invece al nuovo tecnico, un ragazzo giovane che sa però il fatto suo alla stragrande (infatti vi scrivo dal mio Mac, finalmente) che mi ha salvata, con un preventivo onesto che non mi ha costretta a vendere un organo al mercato nero, e ha fatto un lavoro impeccabile, di avere grande successo nel suo lavoro. Perché se lo merita. Lui.

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Da Mosca con amore

Torno a ribattezzare il blog, fermo ormai da un anno e qualche mese, con un post delle grandi occasioni.

Anche i lavoratori editoriali possono avere il blocco dello scrittore. A me è successo.

Mi sembrava di non avere più niente di interessante da raccontarvi, che ci fossero colleghi capaci di dire in rete cose molto più accattivanti, argute, positive, non-respingenti.

Mi ero sempre augurata di dare prima o poi su questo blog la notizia della fine della mia precarietà.  Per seminare il seme della speranza, dopo tanti racconti di difficoltà, ingiustizie, fatiche, sfruttamento, ribellione, rivendicazioni.

Gli eventi, invece, si erano evoluti in modo strano.

Io che sceglievo di non cedere al ricatto della p.iva, non riuscivo più a fare un mestiere tanto amato imparato per dieci anni, trovavo un’ancora di salvezza nell’altrettanto malsicura traduzione, traducevo uno dei più importanti scrittori russi contemporanei, lui che con una mia traduzione vinceva il premio di narrativa straniera tradotta più importante d’Italia…

C’eravamo fermati lì. Mi sembrava così di aver chiuso il cerchio con un finale positivo, lasciando il seguito all’immaginazione.

In questi giorni, però, mi è successa una cosa molto importante di cui non posso non parlare. Sono stata a Mosca. Al Congresso Internazionale dei Traduttori Editoriali (Ru<>lingua straniera). E lì ho parlato del PROTOCOLLO Odei-Strade-Slc-CGIL (che vi invito a leggere, soprattutto se siete del mestiere), del modo in cui la conflittualità fra editori e traduttori può trovare a volte un terreno fertile, comune su cui agire per il bene del settore e del rispetto delle competenze altrui.

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[Parte della “delegazione” italiana: Alessandro Niero, Denise Silvestri, Anita Vuco, Nicoletta Marcialis, Margherita Crepax]

Quattro giorni di interventi in lingua russa divisi in sezioni, dalle più tecniche (come la mia sul rapporto fra traduttori e editori), a quelle più teoriche, a laboratori su difficoltà traduttorie in classici, contemporanei, editoria per bambini e ragazzi, incontri con scrittori, un premio internazionale in una sede di importanza storica.

Una macchina organizzativa ottima: a traduttori provenienti da ogni angolo della terra viene pagato tutto, vitto, alloggio, aereo; i traduttori ricambiano con la loro presenza, con idee, esperienze, con una relazione letta e discussa in pubblico.

Una macchina organizzativa che, così mi hanno detto, sarà costata almeno come due carri armati. Noi, una cosa così, ce la sogniamo.

Il traduttore al centro di tutto. Il traduttore come ambasciatore di cultura. Coccolato, rispettato, invogliato a proseguire nella sua missione, al di là delle fatiche che ognuno incontra nel proprio paese.

E infatti, ascoltando relazioni, chiacchierando un po’ a destra e a manca, sono emerse situazioni non molto rosee anche in altri paesi: il ruolo del revisore dalla lingua originale sempre più relegato a fastidiosa “inutile spesa“, compensi in alcuni casi migliorabili, in altri fuori luogo, situazioni contrattuali persino peggiori delle nostre.

Eppure torno a casa con la sensazione positiva che almeno i russi cerchino di fare qualcosa (in Russia ci sono ben due fondi per la traduzione all’estero di opere russe; in Italia non esiste nulla) e che, come sempre, parlare, passarsi informazioni, unirsi su un’unica strada, camminando insieme, a volte anche con divergenze su come quella strada andrebbe percorsa, sia l’unica e sola soluzione da opporre all’isolamento, alla rassegnazione, all’immobilismo.

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Sorokin è il supervincitore del Von Rezzori 2015

Uno passa giornate dall’umore altalenante, per questioni familiari e di lavoro, poi succedono cose così. Lascio riflessioni e impressioni personali al prossimo post. Oggi mi godo il momento speranzosa.

FESTIVAL DEGLI SCRITTORI

Firenze, 12 Giugno 2015

VINCE
VLADIMIR SOROKIN
con
La giornata di un Opričnik
traduzione di Denise Silvestri
Atmosphere Libri

È Vladimir Sorokin con La giornata di un OpričnikAtmosphere Libri, traduzione di Denise Silvestri – il vincitore della nona edizione del Premio Gregor von Rezzori per la migliore opera di narrativa straniera tradotta in Italia.
Lo scrittore russo è stato premiato oggi alla presenza del Sindaco di Firenze Dario Nardella. Ad annunciare il vincitore, nel corso di una cerimonia che si è svolta nel Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio, la giuria composta da Ernesto Ferrero, Beatrice Monti della Corte, Edmund White, Alberto Manguel e Andrea Bajani.

Questa la motivazione con cui la giuria ha assegnato il Premio a Vladimir Sorokin:

“Il romanzo di Vladimir Sorokin si svolge nell’anno 2027 in una Russia fittizia. Racconta un giorno della vita di un Opričnik. E’ un riferimento a una setta creata da Ivan il Terribile nel 1565 con lo scopo di eliminare i suoi nemici spesso ricorrendo a mezzi brutali e cruenti.
Nel mondo raccontato da Sorokin gli eccessi dell’impero di Ivan il Terribile e della Russia di Putin sono ampliati e resi nei più fantasiosi ed orrendi dei modi. Nessun dettaglio ci è risparmiato. Dallo stupro di gruppo della moglie di un nobile sospetto, trovata nascosta in una gigantesca stufa ad una visita degli Opričniki ad una sauna dove si godono un’orgia sublimata da droghe e dai vapori del kvass e poi si rilassano ascoltando Rachmaninov sorseggiando champagne dello Szechuan.
Questi odierni Opričniki invece che con i neri stalloni del tempo antico si spostano su delle Mercedes russe sul cui cruscotto sono appese delle teste di cane tagliate di fresco.
Una delle particolarità di questo libro è il linguaggio inventato da Sorokin per raccontare questa nuova Russia. E’ un mish-mash di gergo di business, di diktat della Russia imperiale, di propaganda sovietica e di folklore.
Al primo impatto La giornata di un Opričnik sembra essere precipitato tra noi da un altro pianeta, ma ha un posto ben radicato nella tradizione russa. Si sente l’eredità di due grandi satiristi, Bulgakov e Gogol nel cumulo barocco dei dettagli, nell’abile tessitura di fantasia e di realtà, nell’azione senza sosta. Naturalmente si sentono degli echi di Solgenitsin da Ivan Denisovic  come pure la vertiginosa abilità linguistica ci fa pensare a Dostoevskij. Sorokin piace non solo per la sua continuità col passato, ma perché ne fa qualcosa di estremamente nuovo, terrificante e comico. Edmund White lo ha definito con grande efficacia “un diamante nero”.

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“Conigli e boa” di Fazil’ Iskander

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Ne parlo ora, ma è uscito il mese scorso.

Ne sono molto orgogliosa quindi lo segnalo anche qui sul mio blog.

Il pericolo per i russi, infatti, è sempre lo stesso: che ottimi libri passino inosservati nel marasma di titoli a volte anche di basso valore che si pubblicano nel nostro paese.

La letteratura russa contemporanea ha sempre fatto fatica a decollare. Più fa fatica a decollare, meno si investe in essa lamentandosi che non decolla, meno si investe, più fa fatica a decollare. Un circolo vizioso che perdura.

Qui sotto la quarta e a questo link un ASSAGGIO.

Che cosa accadrebbe nel Regno dei conigli e nel Regno dei boa se un giorno un semplice coniglio cominciasse a ragionare con la propria testa e mettesse in dubbio secolari usanze di morte? Quali conseguenze potrebbe scatenare il suo tentativo di ribellarsi allo status quo? Un giorno il Ponderatore, un coniglio con il compito di meditare sulle cose, si rende conto per caso che i suoi simili si lasciano inghiottire dai boa perché impietriti dal terrore, non per la capacità dei serpenti di ipnotizzare le proprie vittime. Ma proprio chi dovrebbe essere felice di quella scoperta, il Re, vuole che le cose restino invariate. E se quella menzogna e il terrore nella sua forma più subdola fossero l’unico modo di mantenere il potere e l’equilibrio fra le specie? In Conigli e boa Fazil’ Iskander ci presenta un apologo ironico, una favola filosofica sui rapporti fra il potere e le persone, fra terrore e realtà, fra verità e menzogna. Paragonato per toni e ispirazione alla Fattoria degli animali di George Orwell, è diventato un classico pedagogico fin dai tempi della sua pubblicazione di clamoroso e inaspettato successo.

Utilizzando la tradizione russa del racconto come forma di critica sociale, Iskander introduce il lettore alla vera società sovietica attraverso due gruppi di animali – i conigli e i serpenti, i deboli e i forti.
«Per i suoi voli di fantasia e la sua abilità apparentemente inesauribile nell’intessere storie l’opera di Iskander è stata spesso paragonata a quella di Gabriel Garcia Marquez».
The New York Times Book Review
«Iskander si è conquistato un posto di valore nella tradizione degli autori russi satirici, fra il Gogol’ delle Anime morte e il Nabokov di Lolita».
Elmar Krekeler, Los Angeles Times
«Nelle sue storie, anche quando descrivono immani tragedie, c’è sempre tanta ironia». La Repubblica
«Iskander immerge il lettore in un’umanità pittoresca, legata ai ritmi delle attività quotidiane, ma propensa a evadere verso le regioni della fantasia… Le storie traggono valore dalla loro stravaganza o eccezionalità».
Corriere della Sera
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Le cose strane di questo paese

Succedono cose strane in questo paese. Soprattutto quando si parla di lavoro, soldi e cultura.

Per anni l’editoria italiana ha precarizzato i propri addetti ai lavori. Chi ne parlava era un “traditore” perché non stava alle regole del gioco. Con fatica Rerepre ha fatto in modo che si sapesse. A un certo punto, dopo anni di omertà, è scoppiato pure un caso mediatico, questo, e tutti hanno dato addosso con la bava alla bocca ai lavoratori precari esasperati dipinti come invidiosi anch’essi con la bava alla bocca. In nome dei “figli di” che devono avere lo stesso diritto dei “non figli di” di essere considerati talentuosi. Cosa che in un certo senso è vera, ma che andava a spostare il problema su altro, sviando l’attenzione dal vero cancro dell’editoria: la precarizzazione.

Con la crisi tutto si è fatto più pesante. In molti, soprattutto i piccoli e medi editori di qualità faticano a stare in piedi. I grandi, nonostante le loro cifre ben più ampie, devono rendere conto agli azionisti, non ai lettori, e cavalcano l’onda.

Più di uno ha smesso di pagare i propri collaboratori: qualcuno impeccabile prima, comincia a perdere colpi, ha reazioni scomposte, spera di rimettersi in carreggiata; altri, lo usano come prassi da sempre e non pagano. Per anni i traduttori, ma anche redattori, grafici, editor freelance boccheggiano, non solo a trovare lavoro, non lo trovano nemmeno più precario, perché in molti vengono espulsi senza troppi problemi dal ciclo produttivo, ma anche a farsi pagare una volta che i contratti vengono sottoscritti.

La rabbia monta, in molti vorrebbero parlare ma nessuno o quasi lo fa per paura della legge sulla diffamazione. Chi ha i mezzi cerca di recuperare i propri crediti a fatica con un avvocato. Qualcuno ci riesce, altri no. In molti, l’avvocato, non se lo possono nemmeno permettere.

E incontrano tendenzialmente due tipi di editori: quelli saccenti, maleducati che non rispondono nemmeno alle richieste di pagamento con una spiegazione e se ne fregano, in nome del loro fare cultura, che sembra sempre più importante dei torti che fanno subire agli altri, e quelli, in taluni casi, magari anche maleducati ma che alla fine cercano di pagare a rate, con piani di rientro. La differenza fra le due tipologie è evidente. Lascio da parte chi paga in tempo e dignitosamente perché son come panda, dato che l’ondata di ritardi e non pagamenti arriva per i collaboratori esterni persino da alcuni grandi gruppi editoriali.

Così scoppia anche stavolta il caso mediatico, quello di questi giorni, i traduttori trovano il coraggio di evidenziare il problema, si accodano, esasperati dal vicolo cieco in cui sono finiti e per molti sono solo i cattivoni che rovinano una bella esperienza editoriale, dimenticandosi che i traduttori non sono imprenditori, sono lavoratori-autori-artigiani cui viene commissionato un lavoro, con tanto di contratto. E il lavoro va pagato.

I vessati si trasformano agli occhi di molti in vessatori. La richiesta pubblica di pagamento, in gogna. Il diritto a vivere del proprio lavoro, un lavoro con tariffe già misere, una quisquilia, una cosa di secondo piano rispetto alla cultura.

Ho tradotto per Isbn il loro primo titolo nel 2004. Mi hanno pagato: . Nei tempi: visto che non me lo ricordo, probabilmente sì. Ma erano momenti di grande euforia e inesperienza da entrambe le parti. Quanto accaduto dopo mi riguarda solo perché faccio parte della categoria dei traduttori e ho sentito i colleghi  disperarsi in cerca di una soluzione; perché magari quei soldi che aspettavano con ansia potevano fare la differenza fra il vivere in modo dignitoso e arrancare. Ma anche se così non fosse, quei soldi se li erano sudati, erano il frutto del loro lavoro, di notti insonni, di figli, mogli e mariti trascurati, di giorni di malattia cui non hanno diritto, di vacanze fatte per metà pur di consegnare in tempo. E se togli anche il compenso, che resta?

Insomma, diamo in generale il merito a quegli editori che hanno saputo fare buone cose quando le hanno sapute fare, concediamo loro di rimettersi in carreggiata se troveranno il modo di appianare i debiti e di cambiare atteggiamento non scaricando il rischio d’impresa su altri, ma non accaniamoci, per favore, anche questa volta, contro chi di vessazioni ne subisce già tante e cerca solo di far valere i propri diritti.

E facciamo che questo caso sia il punto di svolta per far cambiare la testa della gente, per trovare soluzioni che diano dignità al lavoro editoriale.
Una dignità vera, però, non il finto “prestigio”  di ora.

p.s.: in tutto questo marasma ringrazio Christian Raimo per questo articolo, per aver nominato il lavoro fatto da Rerepre in questi anni. La fatica è stata davvero improba, e molti di noi ne stanno ancora pagando le conseguenze.

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La cinquina.

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Una grande soddisfazione vedere il libro di Sorokin che ho tradotto nella cinquina del Premio Gregor von Rezzori. Complimenti a Sorokin, ovvio, ad Atmosphere libri, e pure a me.

Complimenti anche agli altri quattro libri (autori e traduttori annessi) e alla vincitrice della sezione “Miglior traduzione di un’opera di narrativa straniera”, Federica Aceto.

Gaudio e giubilo, cari miei, come si suol dire… 😀

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