Affaire Ichino-Di Domenico: da precari a ricattati a rosiconi

Ci ho pensato a lungo prima di decidermi, anche perché questa poteva essere l’occasione giusta per tacere, ma navigando in rete e continuando a leggere gli insulti più fantasiosi ai precari editoriali in post, articoli, blog, cinquettii vari, ecc. a proposito dell’affaire Ichino-Di Domenico, non sono proprio riuscita a non scrivere quello che penso davvero.

I precari editoriali, negli occhi dei più, da sfruttati si sono tramutati in rosiconi.

Bazzico la Mondadori ormai dal 2004, ma alla Mondadori Libri ufficialmente dal 2006 (forse la bazzicherò ancora per poco se vado avanti a essere coerente con me stessa e le mie idee), quindi sono arrivata quando Giulia Ichino era già stata assunta da alcuni anni. Una frequentazione quasi inesistente la nostra (ho lavorato sempre molto poco per la narrativa italiana), che mi impedisce di giudicare nel vero senso della parola, ma sono giunta ad alcune conclusioni basandomi su quanto dichiarato dalla stessa Ichino sul “Corriere della Sera” (dando ormai per assodato che sulle sue capacità non si discute).

Dice: “Sono stata fortunata“. E le credo.

Sì, è stata fortunata per varie ragioni:

1. erano anni in cui un miraggio di assunzione ancora si intravedeva;

2. a soli 23 anni ha mandato un cv su suggerimento dei suoi docenti universitari (se non ho capito male) nella più grande casa editrice ed è stata presa in considerazione per una serie di coincidenze (questa una fortuna con la F maiuscola!);

3. ha un padre avvocato-giuslavorista, cosa che avrà sicuramente scoraggiato dal trascinare per troppi anni illegalità palesi nei suoi contratti (già il fatto che il lavoratore non debba pagare la parcella per far valere i propri diritti è un vantaggio non indifferente per non farsi mettere i piedi in testa);

4. c’è stato chi, in virtù solo delle sue capacità, si è speso perché fosse assunta (Articolo sul Fatto quotidiano).

Poi, il resto lo ha fatto lei nel quotidiano.

A straziarmi l’anima in questi giorni, invece, è che come al solito per far balzare agli onori della cronaca un problema coperto da omertà che si cerca di far emergere DA ANNI come il precariato editoriale ci sia voluto l’attacco personale, lo scontro fra tutelati e non tutelati, fra personaggi di successo e poveri precari sfigati, l’allusione politica, come se ci sia sempre bisogno del caso, del pruriginoso, di tafferugli, fazioni, di spaccare una vetrina perché se ne parli.

L’ondata di indignazione che ho visto in difesa di Giulia Ichino (che in parte condivido, perché detesto gli attacchi personali) da parte di giornalisti, scrittori, colleghi, professori, personaggi noti e meno noti non si è mai levata con tale veemenza per le situazioni di palese illegalità di cui sono vittime centinaia e centinaia di precari dell’editoria.

Nessun tweet nauseato per tutte le giovani donne che, scegliendo di mettere al mondo un figlio per ascoltare un orologio biologico che non coincide più con i tempi dilatati del precariato, non riescono più a rientrare a lavorare in casa editrice. Messe alla porta in un modo o in un altro.

Nessun post di grandi nomi (o quasi) che abbia preso di petto la questione rischiando di perdere i propri contatti editoriali.

Nessun collega tutelato (o quasi) che abbia in qualche modo rischiato le proprie sicurezze in difesa dei colleghi palesemente sfruttati.

Oggi, invece, vedo solo tanti articoli che per difendere chi è stato offeso una volta gettano fango su chi viene offeso quotidianamente. Che prima di sguainare la spada per mozzar teste non si sono fermati un secondo a riflettere sulla disperazione che può portare a commettere errori come quelli di additare qualcuno solo per il nome che porta (come se esistesse una legge al contrario che impedisca ai cosiddetti “figli di” avere un buon lavoro, far carriera, dimostrare sul campo cosa valgono).

Il problema, quindi, non è che Giulia Ichino sia stata assunta in una casa editrice nella piena legalità. Il problema è che non lo siano stati  tutti gli altri, che per anni siano rimasti nell’illegalità, in piena connivenza di tutti, nell’omertà più assoluta fatta di rassegnazione e pietismo bieco alla “Ciapasèla no“.

E che ora vengono raffigurati solo come schiere di incompetenti rosiconi e ingrati con la schiuma alla bocca.

Anche questo è nauseante.

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La vita dura (ma non troppo) del collaboratore esterno (ma non troppo)
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Una risposta a Affaire Ichino-Di Domenico: da precari a ricattati a rosiconi

  1. andrearenyi ha detto:

    Aggiungo che non è la prima volta: c’è stata la levata di scudi contro la figlia di Elsa Fornero, ma era stata molto meno feroce. Anche lei probabilmente è molto capace ma anche molto fortunata, prima di tutto perché è nata in una famiglia che le ha spianato la strada, che non significa necessariamente assunzione a chiamata, ma solo una preparazione migliore di quella di tanti altri. Ma questa è una storia vecchia come l’uomo sulla terra: non abbiamo lo stesso punto di partenza e neppure lo stesso cammino: i risultati non possono che essere diversi.
    In alcuni commenti al caso mi è parso di intravedere una forte strumentalizzazione: pochissimo, o nessun interesse, nei confronti dei problemi del precariato ma uno scarico di coscienza: finalmente un buon motivo per non votare il Pd. Che può anche andar bene, ma perché condannare un intero partito per l’intervento gran parte molto giusto di una precaria, che però ha commesso un errore di valutazione, forse perché credeva che facendo un nome forte dava più risalto al suo discorso? Quindi temo che non si tratti di un acceso dibattito intorno al precariato nell’editoria ma di una resa dei conti fra un partito e persone che in qualche modo si sentirebbe in dovere di votarlo ma non vogliono farlo, e ora hanno finalmente trovato una via d’uscita.

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